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Ci sedemmo dalla parte del torto, visto che tutti gli altri posti erano occupati.

lunedì 22 agosto 2011

incipit.

Non dormo. La lancetta dell'orologio, quella più corta, segna le quattro. L'altra non la vedo. Odio quel buco di ufficio, dove la carta da parati viene via al pari della pellicola di plastica posta sugli schermi delle televisioni imballate. L'umidità entra e trasuda da quelle pareti, esattamente come ora la sento violentare le mie vecchie ossa. Vecchie, vecchie almento quanto il fegato ed i polmoni che dormono al mio fianco, dio quant'è bella. Mi giro, la guardo. Allungo una mano ed ecco che il filo morbido di quel nero petrolio s'intreccia tra le mie dita. Arriva al naso, le mandorle. Il profumo delle mandorle. Quell'estate mia madre s'era fissata per un sapone del quale aveva visto la pubblicità in televisione, un dispenser banalissimo che prometteva una pelle ai limiti del credibile. Quel'odore era ovunque, nasceva nelle sue mani viveva nell'aria, passava nelle lenzuola e alla fine al mio naso. Come ora, i suoi capelli. I tuoi capelli, amore mio. Non credo d'averti mai chiamata così, non ricordo. Eppure devo averlo pensato così tante volte, almeno tante quante poi l'ho fatto morire nella gola appena aprivo la bocca, e tu correvi. Tutte le mattine ti vedevo passare sotto la finestra del mio ufficio, come un cane che segue il padrone, il mio sguardo fissava la tua coda bruna. A destra e a sinistra, e ancora. Ancora. Mandorle. Ancora.

Mi chiamo Francesco. Non dormo da quattro giorni.

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